Finché
aveva abitato con suo padre, Luisa aveva avuto a disposizione oltre tremila
pezzi tra dischi di vinile e compact disk e si poteva dire che il suo
svezzamento fosse stato a base di omogeneizzati e Rolling Stones, purea di
frutta e Pink Floyd, biscotti sciolti nel latte e Björk. Aveva se non altro
goduto del privilegio, anni dopo, di salvarsi da tutte le possibili
infatuazioni per quei gruppetti di musica prettamente adolescenziale di cui
cadevano regolarmente vittima le sue amiche e compagne di scuola.
Le sue possibilità di spaziare da un gruppo musicale all’altro, da un rocker all’altro, si interruppero però giocoforza quando, dopo aver ereditato l’appartamento dalla nonna, andò a vivere da sola. Senza tuttavia che lei vivesse mai la cosa come un vero problema dal momento che la sua predilezione era da sempre la lettura.
Il suo
spirito del momento la fece in ogni caso decidere, in quel plumbeo pomeriggio
di febbraio, per l’ascolto di Mechanical Animals di Marilyn Manson. Era
l’unico cd che possedeva di quel cantante ed era da molto tempo che non lo
ascoltava. Ma doveva anche essere, nelle sue intenzioni, una sorta di
pre-immersione nell’ambiente del Ragnarock. E anche se era certa che, indipendentemente
dai suoi sforzi, non sarebbe mai riuscita a mimetizzarsi completamente in quel
locale, ci avrebbe comunque provato.
Ma,
strano a dirsi, già i primi minuti di quella musica ebbero su di lei un
misterioso e imprevisto effetto rilassante e brani di particolare bellezza come
The Speed of Pain e Fundamentally Loathsome le sembrarono
addirittura funzionare da veri e propri toccasana. Con il risultato, alla fine,
che uscì dalla stanza in condizioni decisamente migliori di quando vi era
entrata e nello spirito giusto per prepararsi la cena.
Tutto a posto, constatò al termine della sua
rapidissima ricognizione: Alessandra in quel momento non rappresentava un
problema per lei e probabilmente non lo avrebbe rappresentato mai più. Le sue
dovevano essere state risposte da stress eccessivo, si disse, e per quanto ne
sapeva, poteva perfino essersi immaginata la faccenda del liquido verde e tutto
il resto. Perché non trovava i vuoti dei succhi nel cestino apposito? Facile:
perché Alessandra usciva di casa due o tre volte al giorno e si portava dietro
i suoi rifiuti.
Luisa si
riscosse dalla sua immobilità carica di riflessioni solo nel momento in cui si
trovò davanti la sua inquilina, appena uscita dalla cucina. Si aspettava di
vederla passare accanto a sé con passo rapido come faceva di solito, invece,
stranamente, si fermò. Solo allora si rese conto che la ragazza aveva qualcosa
in mano: un piatto con due uova sode sgusciate.
Questa parte del labirinto è stata scritta da Ivano
Landi, autore dei romanzi L'Estate dei Fiori Artici e Solve
et Coagula.
Ecco
cosa puoi fare adesso...
- Puoi scegliere come continuare la storia, scegliendo tra uno dei brani qui sotto:
- Senza dire niente, Alessandra alzò il piatto all’altezza del suo plesso solare e con la mano libera afferrò una delle uova, se la portò alla bocca e la addentò. Luisa era stupefatta: per la prima volta in due anni, la vedeva mangiare.E la sua sorpresa era destinata a prolungarsi, perché, subito dopo, la ragazza allungò ancora il piatto verso di lei con l’apparente intenzione di offrirle l’altro uovo. [continua] (vai alla parte AAAAAAAAAABAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA di Ivano Landi, clicca sul link)
- Puoi scrivere tu una nuova continuazione (di massimo 500 parole) mandandola a ildedalodellestorie@yahoo.it (le modalità sono descritte nella pagina introduttiva, ricordati di indicare il codice nel titolo di questo post).
- Se, invece, questa parte non ti ha convinto/a o volevi che le cose andassero diversamente, torna al capitolo precedente (ti basta cliccare sul link) e scegli un'altra strada o scrivine una.
Forza
e coraggio, l'avventura nel dedalo continua!
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